About Fausto Biancardi...

Fausto Biancardi è un artista completo ed ha vissuto una vita sorprendente, descriverlo non è semplice. Possiamo partire dicendo che nasce il 7 ottobre 1947 a Correggioli, in provincia di Mantova.

Nel 1966 si diploma presso l’Istituto Statale D’Arte e, nel 1969, si trasferisce a Milano dove per undici anni lavora come illustratore della Collana BUR presso la Rizzoli Editore.

Vive a Milano proprio durante gli anni di piombo pubblicando copertine per i maggiori autori del periodo. Contemporaneamente dipinge e organizza alcune mostre personali a Milano e partecipa a vari concorsi. Alcuni suoi quadri sono pubblicati sul sito faustobiancardipittore.com

Nel 1980 ritorna a Mantova in qualità di Art Director per conto della casa di moda Corneliani. Inizia a girare il mondo per fotografare abiti mentre la moda è nel suo periodo di maggiore espansione ottenendo grandi soddisfazioni. A descrivere

Descrivere Biancardi non è semplice e per nostra fortuna a farlo ci ha pensato anche Umberto Eco che, anche a detta di Fausto, era “uno che con le parole ci sapeva fare” vi riportiamo dunque questa sua lettera dedicata a Fausto.

LA LETTERA INVIATA DA UMBERTO ECO

LA LETTERA INVIATA DA UMBERTO ECO

Fausto Biancardi, ovvero il mantovano errante

Un collezionista di facce: le studia e le cataloga

Fausto Biancardi, ovvero il mantovano errante

Un collezionista di facce: le studia e le cataloga

Eccolo qui il Fausto Biancardi. Ancora lui, ancora una volta. Se dovessi effigiare il personaggio di Baudolino, gli darei la sua faccia. Questa volta lo incrocio ad Edimburgo, appena sotto la Fortezza, con in mano un cartoccio del suo amato fish and chips. Baci, abbracci. “Qui il fish and chips non è male, te lo consiglio – esordisce Biancardi – ma il migliore del mondo oggi lo trovi a Mosca. Così imparano gli inglesi a mettergli davanti nei consumi l’orrendo Chicken Tikka Masala, fushion angloindiana. Come faranno a Mosca? Non c’è neanche il mare”. Potenza del globalismo, penso ma non lo dico, troppo banale. Mi perseguita, il Biancardi. Da una decina d’anni lo incontro dappertutto per il mondo: ad una prima teatrale a Londra, ad un convegno di semiotica a Parigi, all’Onu. L’ho intravvisto persino ad un sit-in contro il combattimento di galli nel Mato Grosso. Così, prima di sapere chi fosse quel signore dell’aria sorniona, sempre cangiante come Zelig, ho incominciato a dargli un’identità immaginaria, a seconda delle circostanze. A New York, al Radio City Hall, me lo sono figurato, come un ricco tycoon del cinema. Al Documenta di Kassel, in cappottone nero, sciarpa nera, cappello nero, cartella nera zeppa, mi sembrava un Gropius redivivo, tecoarchitetto o turbodesigner. A Honkong, intravisto dietro al finestrino azzurrato di una limousine chilometrica. Finchè a Parma, appena fuori dal Regio, non ce l’ho fatta più fatta. Dopo avergli mentalmente dato del baritono (il fisico ce l’ha), l’ho stoppato con il classico: “Scusi, ma noi ci conosciamo…”. È iniziata così la nostra amicizia di girovaghi. Ho scoperto che non fa nè il baritono nè l’architetto. Lavora nella moda: responsabile della comunicazione della griffe Corneliani e fotografo. 

E che non viene da Hollywood o da Berlino ma da Mantova,città da me adorata per via di Virgilio, di Mantegna e dei totelli di zucca. Il fatto che lavori nel mondo della moda spiega molte cose del Biancardi, ma non tutto. Si sa che i modaioli girano il mondo e cambiano spesso d’abito: più che altro si travestono. Anch’io giro il mondo però sempre vestito uguale. Il mondo poi in realtà è quella decina di posti dove passiamo tutti. Morale. Non potevo non andarci a sbattere. Ma al Palazzo di vetro dell’Onu, che ci faceva Biancardi? Lì di moda ce n’è poca. E a Lovanio, a sorbirsi una dotta conferenza dal titolo esegesi ed ermeneutica (tedesco il conferenziere, con pessima traduzione in simultanea) che è riuscita ad annoiare persino me? Lì la maggior parte dei presenti era in clargymen. Dopo Parma potevo tranquillamente chiederglielo. Gliel’ho chiesto ad Edimburgo, avendo appreso che si stava dirigendo ad un raduno di veterani della Raf. “Vedi Umberto, è per le facce. Sono un collezionista di facce – mi ha risposto il Biancardi – le guardo, le leggo, le studio, le catalogo. Per me ogni faccia è un libro. Che storie, che romanzi in quelle facce di Loviano! Le meno espressive sono proprio le facce della moda, così scontate, stereotipate, vuote. Allora ogni tanto scappo altrove a riferirmi l’occhio”. Devo dire che la cosa mi ha impressionato, e mi è venuta la tentazione, subito rimossa, di metterla nel nuovo libro che sto scrivendo. Non ti facevo romanziere, diavolo d’un Biancardi. Ma lo sai che le facce erano l’ossessione di Elias Canetti, uno dei massimi scrittori del Novecento? Altro che fotografo, altro che moda! Ti ho smascherato, alla fine. Sei un collega, anzi un potenziale concorrente: d’ora in poi starò in guardia.

Umberto Eco